“In questo momento di crisi, i retailer hanno dato un segnale di grande maturita’. Adesso li aspetta la prova più importante: superare chi li ha preceduti riprogettando formati, modelli e funzione sociale dei negozi. Con un occhio alla filiera e l’altro al consumatore.
Attraversiamo tempi difficili. Ansie e speranze si inseguono mettendo in discussione le certezze che ci hanno guidato nel passato. Fare previsioni a lungo termine e’ facile, ma serve a poco. Massimo Sideri, uno dei più interessanti editorialisti del Corriere della Sera, ha recentemente scritto che ci sono due modi sicuri di fare una previsione: “il primo è parlare di qualcosa che è gia’ accaduto (lo diceva McLuhan). Il secondo e’ dire che qualcosa accadra’ tra dieci anni: nessuno vi verra’ a cercare anche se accadra’ il contrario”. Molto più complicato e’ dire cosa accadra’ nei prossimi 12-24 mesi.
Credo abbia ragione.
Noi non sappiamo cosa avverra’. Sappiamo, pero’, che le nostre scelte o le nostre non scelte determineranno il futuro del nostro Paese. Oggi abbiamo una priorita’: capire cosa fare per superare l’emergenza sanitaria ed evitare che il lockdown ci faccia sprofondare in una pesante recessione. Mentre facciamo questo e’ fondamentale anche interrogarci sugli errori fatti in passato, sulle priorita’ da affrontare adesso, sulle vere esigenze della nostra comunita’. Lo slogan nel quale oggi mi riconosco di più spiega il secondo obiettivo che dobbiamo darci. Il Covid-19 ci dice che “il mondo non finisce, cambia” e questo cambiamento per essere efficace deve riguardare le generazioni future. Dobbiamo guardare il mondo con occhi strabici: uno rivolto al presente, l’altro al futuro prossimo o ancora più in la’. Dobbiamo approfittare di questa occasione per immaginare come sara’ il ‘nuovo’ mondo, perche’ “nessuno potrà dirci come sarà il futuro, il futuro ce lo dobbiamo immaginare’’.
Il Coronavirus incide sui comportamenti, sulle aspettative, sul lavoro, sulla tecnologia. Accelera processi già in corso (online, ma anche smartworkig e homebanking, solo per citarne alcuni). Impone un salto di qualità ai gestori delle nostre imprese. Il consumatore ha compreso che, quando vuole comprare qualcosa, può decidere se recarsi verso i luoghi tradizionali di consumo o se attendere comodamente che siano i suoi acquisti a raggiungerlo a casa.
Questo rafforza l’importanza delle reti logistiche, dei depositi, della consegna a domicilio, a scapito delle reti fisiche. O ne impone una rivisitazione profonda.
Non credo che l’online fara’ scomparire l’offline. Probabilmente i due canali si integreranno e si completeranno a vicenda, di piu’ e meglio. Ma gli operatori saranno costretti a investire ancora di piu’ sulla qualita’ del rapporto con il cliente, su cosa ha senso che evolva online e cosa resta fondamentale nell’offline.
Questa situazione ci ha insegnato che piu’ che la spesa online e’ la capacita’ di traffico collegata, l’e-commerce, che dovrà evolvere verso prodotti e formati specifici. Realta’ di territorio, addirittura di quartiere, potranno sviluppare piattaforme specifiche di marketplace, dove ci sara’ spazio anche per i piccoli commercianti. La stessa presenza nei luoghi di vendita si ridurra’. I touchpoint si integreranno grazie all’online in proporzioni che varieranno da zona a zona.
La marca privata avra’ sempre più spazio nei negozi fisici. Il negozio si trasforma così in un luogo dove la qualita’ e’ certificata dal distributore. Lo distingue da altri, ne giustifica la frequentazione specifica e la competizione con le altre insegne. Sara’ fondamentale caratterizzarsi. Più che perseguire un ‘generalismo’ indistinto occorrerà scegliere quale cliente servire, con quale modalita’ e con che tempi di consegna.
Personalmente resto convinto che i retailer diventeranno sempre più una ‘destinazione’, più che un luogo di transito. Le persone vi accederanno volentieri perche’ sceglieranno a priori in quale recarsi. Saranno sempre più in grado di percepirne la differenza in termini di qualita’ dell’offerta, valori specifici, comprensione delle esigenze del territorio e rapporti con il contesto sociale.
La Rinascente e’ un modello su cui riflettere. Lo stesso vale per Eataly: luoghi all’interno dei quali i brand affitteranno gli stand e filiere e territori potranno trovare una valorizzazione importante. I negozi fisici assumeranno così la funzione di vetrine espositive, consentendo al cliente di conoscere e acquistare direttamente o online i prodotti che gli interessano.
Credo poi che la profondita’ e la lunghezza inevitabile della crisi accentuera’ la polarizzazione delle diverse fasce sociali. Alcuni formati come il discount continueranno a crescere. Difficile pensare che i retailer possano continuare a essere tutti uguali, differenziandosi solo per l’insegna.
Per gli ipermercati, addirittura, bisognera’ ripensare ruolo, funzione e spazi. Occorre giustificarne la ragion d’essere sia in funzione dell’offerta (che non può essere limitata a una convenienza che ormai e’ di tutti i formati) sia al fatto che gli affollamenti saranno da evitare per molto tempo, anche dopo aver individuato il vaccino. La competizione dei giganti del web, la necessita’ di investire ingenti risorse e di far crescere una nuova cultura manageriale spingeranno a ulteriori concentrazioni.
I retailer in questa crisi hanno dato prova di resilienza, di saper ammortizzare l’inevitabile tensione sociale, di essere un punto di riferimento per le comunità nelle quali operano. Hanno dato un segnale importante di maturita’.
Adesso sono attesi alla prova più importante. Superare chi li ha preceduti riprogettando formati, modelli e funzione sociale. Con un occhio alla filiera e l’altro al consumatore.”