Riportiamo alcune riflessioni di MAURA LATINI, AD di Coop Italia, in merito alla situazione generata dalla pandemia Covid 19 (l’intervento completo sarà disponibile nel prossimo numero di “Link”, house organ di IBC, Associazione delle Industrie dei Beni di Consumo)
“Il tempo del Covid
Lavorare in un punto vendita al tempo del Covid-19 è probabilmente la cosa meno immaginabile nei pensieri di chiunque di noi. Chi si occupa di gestione dei punti vendita è organizzato mentalmente per pensare al consueto, ma anche all’imprevisto, proprio per riuscire a affrontare in positivo ogni evento quando si presenta, e in qualsiasi forma pur inedita questo si presenti. Ma quanto ci è accaduto è stato qualcosa di fantascientifico e oltre, e ha cambiato i paradigmi.
In primo luogo, lo stato delle cose: personale impaurito che doveva continuare a lavorare, protezioni individuali difficili da trovare, organizzazione degli ingressi dei clienti e fruizione degli spazi tali da garantire la sicurezza tra le persone, catena dei rifornimenti da presidiare con analoghe garanzie di sicurezza.
E poi la chiusura per Decreto alle spese “fuori comune”. Immediate le conseguenze; punti vendita piccoli che raddoppiano i fatturati con enormi difficoltà nel dare il servizio necessario, punti vendita grandi che si svuotano e non sviluppano sufficienti vendite per le quali quel luogo è dedicato.
Ma il lato bellissimo dell’emergenza è che il processo del buon cibo italiano, chi produce, chi alleva, chi pesca, chi trasforma, chi trasporta, chi vende, riesce a funzionare in tutte le sue parti, in sicurezza, in collaborazione e in tutta Italia. E’ stata una esperienza tragica e grandiosa al tempo stesso, che ha fatto comprendere i rischi ma anche la capacità di reazione e la volontà e la passione che attraversa il nostro Paese che lavora.
L’oggi
Se dall’emergenza passiamo all’oggi, non so immaginare quanto tempo servirà per parlare del dopo Covid-19, è certo però che tutto ciò segnerà le nostre percezioni individuali così come quelle collettive. La cosa più difficile è capire quanto le segnerà e con quali conseguenze.
Il bello e il brutto
Se rifletto su cosa è successo ci sono molti aspetti di novità che mi hanno colpito e che stiamo ancora vivendo.
La tecnologia ad esempio è entrata con forza, ma anche con leggerezza, nella vita di tutti. Ha aiutato a restare in relazione con gli altri, a lavorare da casa per i fortunati che potevano farlo e che avevano ancora il lavoro, ha permesso di rilanciare attività che altrimenti sarebbero scomparse, (come le consegne a domicilio per le piccole botteghe), ha fatto saltare le file al supermercato, ha moltiplicato gli acquisti on line… Lo “smartworking” è diventato il termine più usato da tutti…….
D’altro canto, è vero che il Covid-19 ha accelerato la nascita di nuovi lavori; alcuni erano già nati prima, altri stanno nascendo adesso e si tratta di molte attività connesse alla gig economy, quindi spesso mal pagate, completamente precarie e per niente solide. Permettono però di sbarcare il lunario a chi da lì ricava il proprio sostentamento, e fanno sentire moderni, giovani e tecnologici tutti coloro che si trovano ad acquistare i servizi supportati da questa “logistica umana”.
Questi nuovi lavori, anche per la competizione nel mercato hanno delle conseguenze rilevanti: rendono possibili servizi specifici, ma solo a determinate condizioni di costo del lavoro.
Condizioni che però sono accessibili e accettabili da imprese che non tengono di conto adeguatamente delle relazioni sindacali in essere nel nostro Paese e dei diritti acquisiti.
Conclusioni
Da queste sommarie riflessioni dal mio punto di vista ne conseguono alcuni elementi di rilievo.
In primo luogo, vorrei indirizzare un appello alla responsabilità proprio a coloro che a vario titolo ricoprono ruoli nella catena alimentare. Tutti hanno il dovere di occuparsi dei fattori che concorrono al conseguimento di modifiche positive in chiave di sostenibilità.
E proprio la convivialità che parte dal cibo potrebbe essere un volano utile per una ripartenza della vicinanza tra le persone, magari meno fisica ma più emotivamente positiva. E questa non può prescindere dai luoghi dello scambio del cibo stesso, oggi principalmente rappresentati dai supermercati.
Quindi un supermercato trasformato, quale migliore risposta o antidoto, scegliete voi, a chi potrebbe pensare a una strada semplificata dove i valori portanti concentrati in un alimento, diventino solo scambio asettico e disintermediato, di oggetti, confezioni, utili certo per sopravvivere, ma senza portato del loro profondo significato culturale e di scambio tra umani e non solo tra processi.
La vogliano cogliere in molti o in pochi questa sfida di rilancio anche nella filiera del cibo? Noi di Coop saremo certamente della partita.”